Chi siamo
Prefazione
Un giorno Mastrodicasa aprì un cassetto della sua scrivania, tirò fuori uno strano martello e me lo porse dicendo: “…di oculari ne ho solo uno, se ti interessa te lo procurerò, questo è un martello. Questi due strumenti ti serviranno per parlare con le strutture malate, ma questa è una cosa che potremo fare solo in cantiere”.
Lo seguii curioso: a cosa potevano servire quei due bizzarri strumenti?.
Fu il mio primo giorno del “mestiere” di una vita: quello del medico che cura gli edifici.
A quel tempo i cantieri erano fantastici laboratori gestiti e coordinati da maestranze che trasformavano in arte il proprio mestiere.
Grazie a loro, i primi anni di approccio al cantiere costituivano per il tecnico alle prime armi una formidabile avventura, insieme a un’esperienza basilare.
I muratori che ho conosciuto erano uomini speciali, abituati fin da ragazzi a dare il meglio di se’ stessi nella realizzazione di un lavoro.
La loro maturità professionale, che rasentava spesso la genialità, rendeva questi uomini veri e propri artisti, e i capomastri erano i loro maestri.
Il confronto con i progettisti era una grande responsabilità del capomastro.
Esaminando i disegni, si discuteva sulle possibili soluzioni alternative per trovare la più idonea.
Il capomastro incoraggiava i tecnici più giovani a partecipare anche operativamente.
Era emozionante “tirare i livelli” sul terreno e usare il tacheometro per realizzare lo “squadro dell’edificio”, utilizzando una serie di puntelli colorati che delimitavano con precisione la forma dell’opera da costruire.
Si creava così quel rapporto – preziosissimo – di collaborazione e stima fra i giovani ingegneri o architetti e il capomastro, perché entrambi sentivano la responsabilità della perfetta esecuzione dell’opera, dal principio alla sua conclusione.
Per la realizzazione di qualunque struttura, infatti, è indispensabile l’impegno di uno staff costituito da un trinomio che, in perfetta sintonia organizzativa, operativa e culturale, è rappresentato:
dal progettista, che esprime la propria capacità artistica modellando l’opera nei suoi aspetti formali, funzionali o espressivi;
dal calcolatore, che esprime la propria abilità tecnica applicando le leggi che regolano gli equilibri delle forze agli specifici bisogni dell’opera;
dagli esecutori – muratori, fabbri, falegnami – che, coordinati da un capomastro, hanno il compito di realizzare l’opera a perfetta regola d’arte ed in maniera coerente agli insegnamenti ricevuti durante un lungo percorso operativo costato anni di vita, di sacrifici e di ricerca.
La grande responsabilità di un’impresa nel processo di realizzazione di una struttura dipende proprio dalla sua naturale collocazione all’interno di questo trinomio inscindibile.
Del resto il valore degli artigiani è testimoniato in concreto dalla ricchezza del nostro patrimonio artistico e dalla perfezione delle opere che lo compongono, che continuano a stupire il mondo intero.
Tali opere non sarebbero mai nate se non fossero esistiti artigiani straordinariamente capaci.
Oggi tutto è cambiato.
Il processo di modernizzazione ha prodotto innegabili benefici, che la società ha però pagato a caro prezzo con la progressiva erosione delle tradizioni, con la perdita di sensibilità verso i valori del passato, con un comune impoverimento culturale che ha avvilito la dignità sociale degli artigiani.
Troppo spesso, oggi nei cantieri, operano addetti ai lavori che ignorano la “perfetta regola d’arte” e che si adattano ad un mestiere del quale non hanno consapevolezza.
A loro, considerati alla stregua di uomini di fatica, viene chiesto più di “funzionare” che di “pensare”.
Si è perso così quel rapporto di collaborazione fra tecnici dell’ultima generazione e maestranze capaci; non esistono quasi più i cantieri – laboratorio, dove nascevano le più belle opere che la genialità, la collaborazione ed il mestiere riuscivano a realizzare concretamente.
Ecco perché è così importante, oggi più che mai, rivalutare il ruolo dell’artigianato per la qualità del cantiere.
Il raggiungimento di questo risultato richiede in primo luogo un cambiamento radicale verso un futuro di comunicazione efficace tra cultura, politica e burocrazia; comunicazione indispensabile per comprendere che le nuove generazioni di tecnici devono poter integrare il proprio percorso educativo con la formazione in opera; e che nessuna formazione sarà mai possibile senza una scuola efficiente dove tecnici e imprese possano, insieme, imparare lavorando.
L’Impresa dei fratelli Moschini ha un luminoso futuro davanti, ad una condizione: che non perda quella passione per il lavoro che ho potuto sperimentare di persona nei cantieri condivisi.
Voi, Adriano e Sauro, avete avuto la fortuna di poter contare su due grandi maestri:
il vostro Papà e Gianfranco Migni, uomo d’altri tempi, grande professionista nella cultura della realizzazione di opere edili di altissimo spessore.
Quest’uomo, con affetto paterno, ha voluto trasmettere a voi la sua competenza.
Gianfranco era mio amico fraterno, ci siamo frequentati una vita, abbiamo lavorato insieme e con lui ho realizzato in qualità di direttore dei lavori le più grandi opere eseguite per la ricostruzione della nuova Università di Perugia.
E’ per questa ragione, che oggi vi chiedo, anche a suo nome, di non deluderci.
Voi avete il diritto e la responsabilità di riconquistare quella dignità e quel prestigio che avevano i vostri predecessori.
A voi quindi resterà trasmettere alle future generazioni l’inestimabile ricchezza rappresentata dal riconoscimento del valore della propria vita professionale.
Con affetto i miei migliori auguri,
Giuseppe Tosti
Perugia, 21 maggio 2012